Concorso internazionale Guido d'Arezzo: "Il canto gregoriano oggi, stato attuale e prospettive future". La Tavola Rotonda al Polifonico
Si è svolta ieri al Polifonico la tavola rotonda dal titolo Il canto gregoriano oggi, stato attuale e prospettive future. Un approfondimento sullo stato dell'arte di questa fondamentale forma musicale della liturgia; un appuntamento atteso all'interno del programma di iniziative collaterali nell'ambito del concorso polifonico internazionale Guido d'Arezzo.
Il Canto Gregoriano, lo sappiamo, è da sempre uno dei tratti distintivi di questo prestigioso concorso e la volontà degli organizzatori e di tutta la città di Arezzo è di fatto quella di tenerne accesa la fiamma. Il Canto Gregoriano è una pagina della storia della musica tra le più originali e singolari, e modello principale di prassi esecutiva musicale sulla quale è fondata la liturgia cristiana. Una forma d'arte che spiega l’evoluzione di tutta la musica occidentale, un corpus musicale unico che travalica i confini storici per divenire in un certo senso, metastorico.
La tavola rotonda presieduta da Luigi Marzola, direttore del Polifonico e delle attività corali della Fondazione Guido D'Arezzo, ha visto la presenza di Giovanni Acciai, professore emerito del Conservatorio di Milano, che attraverso un conciso ed esauriente excursus storico, ci ha mostrato le interferenze e le influenze che il canto gregoriano ha avuto e ancora ha sul repertorio di questa straordinaria forma d'arte.
Presente anche il professor Giovanni Conti del Conservatorio di Lugano, presidente dell'Associazione Europea dei Gregorianisti, che ha fornito un quadro dello stato di salute dell'attività gregoriana dal punto di vista proprio associativo e formativo e, non ultimo, Don Alberto Donini, professore di musica sacra e grande esperto di canto gregoriano con un focus sull'effettivo utilizzo e la situazione, anche dal punto di vista esecutivo, all'interno del campo per cui il canto gregoriano è nato e continua ad essere attivo, cioè la preghiera cantata.
L'intervento del professor Acciai, si è articolato in tre punti: una premessa, le origini del canto piano e prima del concilio Vaticano II, e lo stato attuale di oggi. Ho cercato di sintetizzarne il contenuto sperando di averne colto i concetti e l'essenza del pensiero. Acciai ha esposto che nella liturgia della Chiesa Romana la parola latina e il canto derivano da una medesima sorgente, si producono nell'unità di un medesimo pensiero, rispondono a un medesimo bisogno, tendono al medesimo scopo, e per conseguenza si devono fondere in un unico possente afflato espressivo. La parola quindi precede la scrittura, il canto la notazione, come appunto sentenziava, non a caso, Don Giuseppe Potier nel suo memorabile testo Le Melodie Gregoriennes d'après la Tradition del 1880. Chi pratica il canto gregoriano tutto questo lo conosce bene: grande esperienza e assiduo studio possono di fatto mostrare quanto strettamente il canto rafforzi la struttura ed esalti i contenuti specifici del testo intonato.Il canto gregoriano, quello proprio della Chiesa di Roma, deve quindi riprodurre le potenzialità della parola e di sprigionarne la virtualità, sicché parola e musica, musica e parola, siano in totale simbiosi. Ma bisogna fare attenzione: non una musica sovrapposta alla parola, ma nata dalla parola, dal verbum, non una parola catturata dalla musica, ma una parola che è musica prima ancora di essere canto.
Il canto gregoriano rappresenta dunque la più alta testimonianza della Chiesa nei confronti della parola intonata e celebrata. Non a caso, esso è fin dalle sue origini la stessa liturgia cantata. Il canto aderisce alla parola con la quale la Chiesa proclama i Mirabilia Dei, e invita i credenti a condividere la sua preghiera di lode.
Costante è stata nei secoli l'attenzione dei pontefici sulla funzione ecclesiale. Acciai si limita a citarne alcuni attraverso i documenti più recenti, in quanto l'elenco, partendo dall'antico, sarebbe interminabile. Da Benedetto XIV con l'enciclica Annus qui unc del 1749, nel contesto dei rapporti musicali tra Roma e Bologna, a San Pio X, con il suo fondamentale Motu Proprio Inter Plurimas Pastoralis Officii Sollicitudines del 22 novembre 1903 e quello da Pio XII con le encicliche Mediator Dei del novembre del 1947 e Musice Sacre Disciplina del dicembre del 1955. Poi Paolo VI, Giovanni Paolo II con il suo chirografo per il centenario del Motu Proprio di Pio X del novembre del 2003, dove Benedetto XVI, con i suoi luminosi pronunciamenti che ha disseminato in molteplici interventi prima e durante il suo pontificato.
Come ogni testimonianza il canto liturgico racchiude in sé anche la possibilità di non essere compreso fino in fondo, e perfino di venire travisato, se non osteggiato. Tuttavia rimane e rimarrà sempre l'espressione più alta e più significativa della continuità della comunità dei credenti che in esso riconosce la forma e il valore della propria fede.
Il Canto Gregoriano, che si è venuto a formare con un repertorio che univa fra loro il canto romano e quello franco, e al quale venne dato l'appellativo di Gregoriano in onore del grande pontefice del VI secolo, detto appunto Magno, è l'espressione di esperienze spirituali che nel succedersi dei tempi, e nei diversi territori nei quali la Chiesa di Roma ha diffuso il suo magistero, ha saputo adattarsi alle esigenze locali, ha assorbito con ritmo incalzante nuovi linguaggi musicali; si pensi soltanto ad uno dei suoi tropi più importanti, la polifonia: tante lingue che cantano un unica fede, in una ideale sinfonia celeste.
Non è superfluo ricordare che sin dalle origini, la liturgia cristiane, ed i suoi repertori musicali, rispecchiavano l'organizzazione primitiva della Chiesa che prevedeva una certa indipendenza amministrativa delle comunità locali. Senza pregiudicare l'unità confessionale, l'infallibilità del dogma e il primato del Papa, le diverse Chiese locali svilupparono una propria liturgia con differenti riti e relativi repertori musicali, pur sempre basati sulla lingua ufficiale della cristianità occidentale, ovvero la lingua latina. Di qui la formazione in alcune aree geografiche dell'Europa, etnicamente e culturalmente ben differenziate, di monodie liturgiche assai diverse fra loro, pensiamo al canto romano antico, il gallicano, l'ispanico, il mozarambico, l'ambrosiano, che è l'unico questo poi, a ben vedere, sopravvissuto all'azione unificatrice, il patriarchino o l'aquileiese, il beneventano e molti altri ancora.
Il problema di far confluire in un unico alveo la miriade di melodie regionali in contrasto fra loro, venne dunque posto e risolto dalla riforma politica e religiosa iniziata da Pipino il Breve. In tale contesto va posta l'admonizio generalis, ovvero l'esaltazione generale, che è un capitolare di 82 articoli, rivolta da Carlo Magno, il 23 marzo del 789, a monaci, preti, vescovi e religiosi, a favore dell'insegnamento ai pueri delle sette arti liberali e del nuovo canto. Questo documento si va a inserire nelle altre azioni unificatrici portate avanti da Carlo. A questo punto la necessità di diffondere il nuovo repertorio in tempi rapidi e in modo capillare in tutto l'Occidente cristiano, poneva dei seri problemi alla prassi della trasmissione del canto, che come è risaputo, fino a quel momento era venuta in forma orale.
I cantori attivi nelle varie chiese locali così si trovavano nella condizione di apprendere ex nihilo, una sillogia di canti pressoché sconosciuta, sebbene non sia da escludere a priori che prima del secolo IX una qualche forma di notazione fosse già in uso nelle scuole cantorum, annesse nelle istituzioni ecclesiastiche, monastiche e secolari. E' solo con la riforma carolingia che il problema si pone con tutta la sua urgenza, con tutta la sua gravità. I segni utilizzati per indicare il profilo melodico delle melodie, i cosiddetti neumi, una sorta di stenografia vocale, vennero mutuati dai segni grafici utilizzati dalla fonetica latina e greca, per l'accentazione delle parole. E' facile quindi comprendere molto bene il nesso dell'unione con la parola che poi diventa canto utilizzando gli stessi segni: la bellissima definizione che di questo da Marziano Capella, è accento seminarium vocis. E dell'immagine che Isidoro di Siviglia, da nelle sue etimologie: l'aratro che tira la linea, come la manuense da sinistra a destra segna le lettere delle parole sopra i segni del canto.
È inebriante osservare che per almeno dieci secoli questo immenso corpus di melodie trasmesso oralmente tra i membri delle comunità monastiche e secolari, è stato l'unica espressione musicale di reale importanza artistica, oltre che spirituale, conosciuta dall'Occidente europeo; un pensiero questo da tenere bene a mente. Nessuna testimonianza occidentale di musica puramente strumentale è sopravvissuta in Europa prima del 1300. Non è poi di secondaria importanza sottolineare il fatto che fu merito del canto ecclesiastico cristiano l'aver garantito, pur con inevitabili, quanto benefiche differenziazioni, l'unità del linguaggio musicale nel corso del Medioevo; unità che la comparsa di espressioni musicali legate alla fermarsi delle letterature romanze, i canti trobadorici e trovieri, contribuirà di fatto a indebolire. Nel corso del medioevo aldilà della sua funzione liturgica, il canto gregoriano svolse così la medesima funzione esercitata dalla lingua latina all'interno della civiltà europea.
Il canto gregoriano prima del Vaticano II. Per ovvie ragioni di tempo non è possibile ripercorrere il lungo cammino storico compiuto dalla melopea gregoriana. Come avvenuto per tutte le forme d'arte anche il canto gregoriano è stato soggetto alle influenze del gusto ai mutamenti estetici succeduti nel linguaggio musicale dall'epoca di Notre Dame per darci un antequem fino appunto ai nostri giorni. Nel 1324-1325 Papa Giovanni XXII, Papa scismatico, promulga ad Avignone la Bolla Docta Sanctorum Patrum, la dotta autorità dei padri. È il primo documento pontificio sulla musica liturgica nel quale si fa riferimento esplicito alle distorsioni provocate dal linguaggio musicale sul canto gregoriano.
E' importante puntualizzare che queste distorsioni avevano già 300 anni. L'intervento papale è dovuto al fatto che alle soglie del Trecento, l'Ars Nova francese per intenderci, stava portando avanti sul piano della misurazione dei tempi, un'avanguardia innovativa di tale portata che disorientava e non permetteva più di accettare quello che più o meno la Chiesa aveva accettato con la pratica della polifonia. Nonostante le finalità restaurative del documento, da esso traspare la consapevolezza di un cambiamento ormai irreversibile e definitivo nella prassi compositiva ed esecutiva del tempo. Era arrivato il tempo di De Muris, Vitrie e Machaud. Ora la polifonia non è più in gestazione come all'epoca di Leonin e Perotino, ma in piena espansione, aperta a continue sperimentazioni compositive. Si pensi soltanto a che cosa condurrà l'Ars Subtilior caratterizzata da una eccezionale complessità ritmica e notazionale, della fine del Trecento, alla ricerca di un nuovo mondo poetico e sonoro derivato dall'abbandono della tecnica compositiva dell'isoritmia.
Le fiandre per l'intero 400 rappresenteranno la sorgente più ricca di un primato artistico che durerà almeno quattro generazioni: da Dufay a Orlando di Lasso. Ma gli scambi, i viaggi, i matrimoni, gli incontri principeschi, le stesse guerre fungono da canali attraverso i quali la polifonia si diffonde e si consolida attraverso innumerevoli esperienze locali che accompagnavano i vari e molteplici fermenti umanistici e rinascimentali del secolo seguente, il Cinquecento, è il Siglo d'Oro. Dal XVI al XIX secolo gli interventi riformatori in campo liturgico musicale mirarono a condizionare le melodie gregoriane.
Il gregoriano si storicizza. Le lunghissime cantilene medievali ora suonavano ostiche alle orecchie dell'uomo rinascimentale e dunque vengono assimilate a stilemi coevi fino a giungere a modificarne nel profondo l'impianto musicale. Gregorio XIII intorno alla metà del secolo emette un'enciclica volta a purgare, una bolla, per correggere, riformare l'antifonario, il graduale, il salterio. Ciò si realizzò in due momenti culturali che si mossero paralleli e sfociarono in due risultati estetici assai diversi da loro. Il primo movimento consiste appunto nella revisione, per fortuna non sistematica, delle melodie gregoriane, volto a continuare un processo di semplificazione del repertorio, come già detto, in atto da almeno un paio di secoli.
In questa revisione talune melodie vennero modificate per essere adeguate alla sensibilità umanistica. In merito alla relazione parola-musica subirono alterazioni le sezioni finali delle frasi musicali, ora ricondotte a una progressiva uniformità modale. Le ampie fioriture melismatiche vennero contratte fino a far perdere le caratteristiche proprie di alcune tipologie particolarmente ricche di lunghi vocalizzi.
Tutta una serie di correzioni di varie entità, che qui non posso minimamente elencare, ma che hanno un punto di riferimento comune, la nota Edizio Medicea del 1614-15. Il secondo movimento consistette nell'affermazione di un altro tipo di canto cristiano liturgico, il cosiddetto canto fratto, che prevedeva un'esecuzione misurata dei suoni: vexata questio secolare! In conseguenza di ciò il canto fratto possedeva una notazione che utilizzava forme semiografiche ibride, derivate in parte dalla cosiddetta notazione quadrata. Si tratta della neografia gregoriana dei libri di canto piano che ancora oggi utilizziamo, dal graduale all'antifonario, e in parte dalla notazione mensurale nera, che è poi uguale a quella bianca, cambiando il colore. Tuttavia le grafie che si incontrano nei manoscritti e nei libri a stampa sono assai diverse. Il fenomeno risale probabilmente agli inizi del 1300 ed è il più tipico esempio di questo canto citato spesso in moltissime fonti è il Credo Cardinalis che avrete sicuramente noto tramandato da moltissime fonti. Come è ovvio, questo è importante sottolinearlo, il canto fratto non è il canto gregoriano ma una sua interpretazione ritmica. Alla fine degli interventi, vi parlerò brevemente del Canto Fratto e del progetto Raphael, in cui la Fondazione Guido d'Arezzo è coinvolta attivamente.
Insomma il cammino verso orizzonti sempre più ampi e luminosi è inarrestabile e nel tempo la funzione del canto gregoriano perse il suo status di attore principale nelle celebrazioni liturgiche. Fu grazie alla costituzione delle scuole cantorum gregoriane, e soprattutto con l'avvento del movimento ceciliano a far rifiorire la pratica, contribuendo alla rinascenza del canto ufficiale della chiesa di Roma.
Il movimento musicale che riformò la musica sacra nell'ambito della Chiesa cattolica, nacque e si diffuse a cavallo tra il XIX e il XX secolo, soprattutto in Italia, Francia e Germania. Il movimento ceciliano, così chiamato in onore di Santa Cecilia, patrona della musica, e di cui Monsignor Lorenzo Perosi ne fu la guida e l'esponente principale, fu quindi una risposta alla centenaria e quasi totale assenza del canto gregoriano e della polifonia rinascimentale dalle celebrazioni liturgiche cattoliche, a favore di stili più simili alla musica operistica.
Oggi in Italia, ma anche in altri paesi d'Europa, la situazione del canto gregoriano è molto delicata, per non dire drammatica. Una prima diagnosi per individuare anche la terapia, sono il rilevamento della divergenza e della scorrettezza dei libri corali in uso, la differenza degli approcci teorici e della eterogeneità ed insufficienza di metodi pedagogici, la sottovalutazione istituzionale del Gregoriano da parte dei musicisti del clero, l'interruzione o perdita di una verace tradizione esecutiva.
A questi problemi di salute del canto gregoriano si è da sempre proposto la revisione dei libri corali nella linea dell'antica tradizione, nella promozione e diffusione di studi teorici ed apporti documentari basati sulle fonti. Inoltre, l'esigenza di una rinnovata scuola di formazione del clero, l'abbandono della prassi esecutiva invalsa a note uguali e martellate, l'assunzione metodica del ritmo verbale con la naturale accentuazione latina.
Insomma sembra che una certa tradizione sia andata di nuovo persa dai tempi di Pelosi, mostrando di fatto una fragilità, una vulnerabilità latente, nonostante la Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium numero 116, metta al primo posto le azioni liturgiche in canto celebrate in lingua latina. Anche la Congregazione dei Sacri Riti, istituzione sulla musica sacra del 5 marzo del 1967 documenta che San Pio X rilevava come la Chiesa avesse ereditato il canto dagli antichi padri, lo avesse custodito gelosamente lungo i secoli nei suoi codici liturgici, e tuttora lo propone ai fedeli come suo, considerandolo come il supremo modello della musica sacra: il Motu proprio del 1903.
Tutto questo, rammenta Acciai, viene oggi disatteso, buttando oltremodo via la tradizione, sostituendola con il contemporaneo. Nel campo della musica liturgica è veramente successo questo. Oggi si tende ad eseguire soltanto musica contemporanea, e sembra di dover fare ogni sforzo per creare in continuazione composizioni nuove. Ogni riferimento alla tradizione sembra un percorso impraticabile, così oggi le comunità cristiane non hanno un patrimonio liturgico musicale che sentono proprio, che eseguono con continuità, che amino come espressione della propria identità ed il sapore della loro tradizione culturale e cultuale.
Una vera e propria j’accuse quella di Acciai anche contro coloro che animano la liturgia, i quali di volta in volta, in modo diverso e in ogni comunità, offrono a loro totale piacimento espressioni nuove, più o meno valide, frutto di una creatività senza stabilità e senza tradizione. In tal senso non è la liturgia che viene servita nella sua identità, ma è la liturgia che è ridotta a mero pretesto per cantare. Sembra evidente il fatto che l'assemblea liturgica non abbia più un repertorio comune e sia costretta a subire passivamente testi e melodie proposte dall'esterno della liturgia stessa, quando la liturgia stessa è il canto piano.
Oggi sembra veramente perduto per sempre il senso della tradizione con l'affermazione della mera superficialità e presunzione dei tempi che corrono e che pretende di giustificarsi in se stesso senza più passato e senza futuro. Un popolo deve avere anche una lingua comune e un ventaglio di linguaggi condivisi col quale esternamente e socialmente porsi in relazione, esprimersi, identificarsi; altrimenti non è un popolo ma una accozzaglia di individui. Oltre a ciò bisogna dire con estrema chiarezza che gran parte del clero, a qualsiasi livello della sua gerarchia, nei confronti della presenza del canto piano nella liturgia post conciliare, è indifferente, spesso contrario, talvolta anche ostile, in modo deciso, e manifesta la sua contrarietà con rabbia e atteggiamenti iconoclasti.
In questo panorama non certo idilliaco Acciai riflette, e ci fa riflettere. Sorge spontanea una domanda a cui è difficile dare una risposta: possiamo immaginare un futuro per il canto gregoriano e il suo repertorio, e se sì, come? Purtroppo ci vuole una buona dose di ottimismo per dire di essere convinti che un futuro ci sia, con tutte le oggettive difficoltà, e i fallimenti ricorrenti, come la storia ci ha insegnato. Acciai concludendo cita le parole di San Pio X nel suo Motu proprio: "il canto gregoriano è stato sempre considerato il supremo modello della musica sacra, potendosi stabilire con ogni ragione la seguente legge generale, tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell'andamento e nell'ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana. E tanto degna del Tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce di forme, e così sia".
Tornando ad un ulteriore analisi dell'attualità del canto gregoriano l'intervento di Giovanni Conti, dal cui osservatorio, cioè quello di uno dei responsabili dell'Associazione Internazionale Studi di Canto Gregoriano, presente di fatto nei cinque continenti, pone al centro della questione la ricerca scientifica in relazione ai risultati da questa ottenuti. La convinzione di Conti è che solo la ricerca può restituirci la dimensione spirituale che è la vera essenza del canto gregoriano, quella basata su dati evidenti, provati e sicuramente conclamati. Questo soprattutto per porre fine ad approcci al canto gregoriano che lo vorrebbero trasformare come uno dei tanti rimedi contro lo stress.
Ricerca e formazione, ed in tal senso è importante parlare dei vari corsi sul canto gregoriano. Ce ne sono molti fermi ad Adamo e Eva, afferma Conti, magari con docenti anche bravi, ma non con l'intelligenza e la capacità di capire che bisogna aggiornarsi. l'A.I.S.C.Gre oggi non insegna il gregoriano che si insegnava agli inizi, ovvero molti anni fa. Ad esempio oggi, l'idea della semiologia è superata, anche se rimane sempre il fondamento, ma come diceva già padre Cardin, fondatore dell'Associazione, "di troppa semiologia muore la semiologia", quindi la semiologia è un metodo senz'altro da applicare ma poi bisogna andare avanti. Pensate che c'è appunto una commissione interna all'associazione che sta lavorando in questo senso, in sintonia con la congregazione per il culto divino, di cui Conti è modestamente consultore. Esiste anche una presenza esterna, la cui finalità è la specializzazione delle scuole, dei direttori, dei cantori attraverso corsi, incontri, workshop, seminari, dedicati sia a chi vuole iniziare ad imparare, sia per migliorare la conoscenza ai più avanzati attraverso la semiologia, l'estetica, la liturgia. E' curioso che adesso sono i laici a formare il clero nel canto gregoriano, alcuni decenni fa era il contrario.
Chi scrive fa presente che l'A.I.S.C.Gre. italiana è un’associazione di studiosi e appassionati di canto gregoriano facente parte dell’AISCGre Internazionale. Quest’ultima ha già una lunga e interessante storia. Venne fondata a Roma nel febbraio del 1975 da un gruppo di gregorianisti allievi del grande studioso e monaco francese Dom Eugène Cardine, professore per lunghi anni al Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma. Giunto all’età del pensionamento e dovendo rientrare nel suo monastero di Solesmes in Francia, parve bene agli allievi più affezionati fondare appunto l’AISCGre (Associazione Internazionale Studi di Canto Gregoriano), perché il grande patrimonio di scienza e di idee del maestro trovasse dei custodi affidabili e dei discepoli in grado di proseguire sulla strada da lui segnata. Dom Eugène Cardine, appunto, appartenendo alla grande scuola di Solesmes, venne chiamato a Roma per l’insegnamento della disciplina, fondandovi un insegnamento che ha formato una serie notevole di allievi, alcuni dei quali di prima grandezza. L’associazione da lui ispirata si è diffusa rapidamente in Europa. In Italia i suoi corsi sono stati frequentati da centinaia di allievi formando, nel contempo, numerosi direttori di coro. Anche in Giappone, dove c'è una realtà interessantissima e dove il canto gregoriano si canta settimanalmente nella cattedrale di Tokyo e in altre cattedrali, si è ingrandita in modo tale, che è stato necessario distinguerne sezioni per una migliore amministrazione.
Nel 2019 a cura dell'Associazione Internazionale Studi di Canto Gregoriano, uscì quel volume che ha stravolto il rapporto con i repertori gregoriani, stiamo parlando del graduale triplex, che altro non è che la scrittura più antica, e quella attualmente ancora in uso, cioè la scrittura quadrata. Il Graduale Triplex è il libro più venduto dalle edizioni di Solem. Ne sono state vendute migliaia di copie, ma l'impegno dell'associazione non è finito lì perché dal seme gettato col graduale triplex doveva germogliare una pianta. Un lavoro in corso è il rinnovamento del cosiddetto graduale simplex che uscì a metà degli anni Sessanta, in una prima versione legata alla liturgia allora riformata da Giovanni XXIII e poi subito dopo il concilio aggiustata secondo le normative in esso promulgate. Un lavoro enorme cercando da una parte di assolvere alla funzione liturgica, e dall'altra di assolvere alla funzione accademica, della ricerca, della prassi, aggiornandosi in continuazione. E quest'ultimo è l'aspetto più importante.
Come espresso da Conti, l'associazione vuole seguire la semiologia, ma non in maniera talebana. La conoscenza della semiologia può essere ed è un grande aiuto nell'interpretazione dei repertori tardivi: non basta cantare le note che sono scritte su un tetragramma bisogna anche saperle gestire e ci sono delle regole, c'è una strada tracciata, che non è l'invenzione di Eugène Cardin, ma è la prova di quello che in realtà è successo nei secoli dell'alto medioevo.
Quindi quello che ribadisce Conti è che c'è posto per una dialettica, per un confronto. Il canto gregoriano continua a essere quello che è stato, perché come diceva, e neanche troppo tra le righe, il professor Acciai, è un bisogno dell'essere umano, della nostra cultura occidentale, che si rapporta col divino con la voce dell'immanente verso il trascendente: insomma la più alta esperienza, la più alta espressione di preghiera cantata.
Don Alberto proviene da un'esperienza di formazione musicale nella quale il canto gregoriano ha avuto una parte molto importante anche per la frequentazione e lo studio con Luigi Agustoni, che ricordo è un presbitero, musicologo-gregorianista svizzero. Quindi la sua formazione è fortemente segnata dalla figura dell'insegnamento e dall'orientamento della scuola semiologica. Al tempo stesso devo riconoscere, spiega Donini, che questa scuola mi ha arricchito e aiutato e in qualche modo anche indirizzato nella scelta di vita religiosa, contribuendo a rapportarmi al canto gregoriano e al mio modo di vivere, nonché a formare il mio ruolo di docente di canto gregoriano e di musica sacra in una istituzione, quella dei seminari, cioè quelle realtà formative del clero cattolico che come tante altre realtà hanno subito dagli anni Sessanta in poi delle radicali trasformazioni.
Quello di Donini è stato un intervento interessante e stimolante, un momento di confronto e di dibattito basato sulle sue esperienze di lavoro come insegnante, e che si è dipanato sottolineando l'importanza della partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia. In nome di questa partecipazione attiva nella vita concreta della Chiesa, Donini si riferisce soprattutto alla Chiesa italiana e forse ad altre Chiese che provengono da una cultura latina o comunque influenzata dalla cultura ecclesiastica italiana, perché se cominciamo ad andare in Germania, nella stessa Francia le cose sono un po' diverse, decisamente modificate e praticamente espunte dalla vita concreta della Chiesa. Donini come Acciai ricorda il numero 116 della Sacrosanctum Concilium, cioè il documento fondamentale del Concilio Vaticano II sulla liturgia e che è stata la base per la riforma liturgica, dove la Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana.
L'importanza della parola. La musica colta, la musica corale abitua, educa a prendere sul serio le parole. Secondo Donini uno dei limiti e uno dei peccati più gravi compiuti dalla nostra cultura attuale, dal nostro sistema scolastico, parlo del sistema scolastico italiano e purtroppo anche dalla Chiesa, è stato quello di abbandonare questi repertori che insegnano a prendere sul serio le parole. Se noi abbiamo un'invasione di banalità nella comunicazione. Di fatto nel canto gregoriano la base è la parola, una lettura attenta del significato della parola intonata.
Il progetto Raphael
Come ricordato e portato a conoscenza, Acciai ha parlato dell'impegno che la fondazione Guido d'Arezzo ha, come parte attiva, con il progetto Raphael, un importante iniziativa volta a recuperare le fonti del canto fratto, un tipo di canto cristiano liturgico eseguito con valori proporzionali: al contrario del gregoriano il canto fratto possiede una notazione con elementi mensurali.
Talvolta questa notazione utilizza forme semiografiche ibride derivate in parte dalla cosiddetta notazione quadrata, in parte dalla notazione mensurale nera, ma le grafie che si incontrano nei libri manoscritti e a stampa sono assai diverse. Il fenomeno risale probabilmente agli inizi del XIV secolo. Il più tipico esempio di canto fratto, citato spesso dai teorici come prototipo del genere, è il Credo Cardinalis, tramandato da moltissimi testimoni a partire dal Quattrocento.
Il progetto Raphael nasce nel 2002 come Progetto interuniversitario di rilevante interesse nazionale. Il suo titolo ufficiale bilingue è il seguente:
Censimento informatizzato e restauro integrale di un repertorio musicale trascurato: il canto gregoriano con elementi ritmico-proporzionali (1350-1650).
Rhythmic And Proportional Hidden or Actual ELements in Plainchant (1350-1650): computerized census and integral restoration of a neglected musical repertoire [RAPHAEL project].
Il progetto, cofinanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e promosso dalle Università di Lecce, Padova, Pavia e Parma in collaborazione con la Fondazione “Guido d’Arezzo” intende indagare e divulgare, nella pluralità dei suoi aspetti e con il supporto delle tecnologie informatiche, un corpus musicale di primaria importanza per la conoscenza della musica italiana ed europea dei secoli XIV-XVII.
L’intento principale del programma di ricerca è quello di studiare, far conoscere e restaurare pienamente (come avviene da molti anni per quanto riguarda l’arte figurativa, ma non ancora per i beni musicali) un repertorio di grande pregio artistico e religioso conservato nelle biblioteche italiane, facendo rivivere attraverso la riproposizione in concerto un’esperienza di canto liturgico trascurata sia dalla ricerca musicologica, sia dagli esecutori.
All'interno del progetto si sono svolti due convegni: nel dicembre 2003 un importante convegno internazionale dal titolo "Il canto fratto: l'altro gregoriano" nell'ottobre 2006 il convegno "Il canto fratto in Italia". Avremo modo di parlarne in futuro.
Commenti
Posta un commento